L'allarme relativo alla mancanza di profili con competenze tecniche qualificate, e adatte ad interpretare e gestire le esigenze delle aziende impegnate in un percorso di trasformazione digitale, l’abbiamo sentito più volte. Anche l’analisi di Mario Mezzanzanica, professore associato di Sistemi informativi presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, segue questo canovaccio. «La conoscenza dei fenomeni e la capacità di raccogliere e analizzare dati - ha detto in occasione di un recente evento organizzato da Aica - stanno diventando elementi fondamentali per migliorare la competitività delle imprese e rendere più efficienti i processi decisionali strategici. E non solo, perché i Big Data sono anche la base per seguire e comprendere le dinamiche evolutive del mercato del lavoro e delle professioni, individuando i trend e i talenti emergenti». Talenti e competenze, quelle legate alle figure dell’Information & communications technology (Data Scientist, Database Administrator, Software Developer, Systems Analyst, Network Specialist e varie altre ancora), che non sono facilmente reperibili sul mercato e che creano un sostanziale disallineamento tra domanda e offerta. Come colmare questo gap? Le soluzioni, almeno sulla carta, si sprecano. Da Aica e i soggetti che hanno collaborato alla realizzazione dell’Osservatorio delle Competenze Digitali 2018 (Anitec-Assinform, Assintel, Assinter Italia, il Miur e l’Agid) arriva la proposta di un sistema di politiche per la formazione e il lavoro delle nuove professioni digitali che riflette diverse direttrici strategiche. La prima, e forse la più importante e al contempo la più difficile da perseguire, punta a un aumento del numero di esperti in materia di informatica e di digitale attraverso la fidelizzazione degli studenti e una maggiore attrattività per lauree e diplomi superiori nelle discipline Ict.
14.03.2019
La ricetta vincente dei Cio: apertura, condivisione e riconversione
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