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Il reddito di cittadinanza come strumento per il digital reskilling
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In attesa di osservare gli sviluppi della campagna di vaccinazione, l'impatto economico del Covid19 in Italia (più che in altri paesi Europei) è stato impressionante. I dati più recenti hanno purtroppo confermato le aspettative di un forte calo del Pil per il 2020 (quasi il 9%), e le attese per il 2021 sembrano indicare una ripresa solamente parziale (intorno al 3,4%). In questo contesto, saranno cruciali gli oltre 200 miliardi destinati per i prossimi anni alla ripresa dell'economia Italiana attraverso il cosiddetto Recovery Plan. Fra le tante aree di investimento che saranno finanziate da questo strumento, promosso dall'Unione Europea, alla transizione digitale dovrebbe andare circa il 20% delle risorse, intorno ai 40 miliardi. Periodi di lockdown prolungati, per evitare la diffusione del virus, hanno evidenziato il bisogno di accelerare la trasformazione digitale per rendere le attività economiche più resilienti e flessibili. Il lavoro a distanza si è trasformato da espediente per la diminuzione dei costi di ufficio e l'aumento di produttività in una necessità per il mantenimento dell'operatività aziendale. Insomma, ci si è trovati proiettati nel futuro nel giro di poche settimane. Un futuro che vedrà affermarsi una digitalizzazione crescente, dalle attività produttive ai mercati stessi. Osservando alcuni trend degli ultimi anni, il mondo del lavoro sta già risentendo della forte spinta della digitalizzazione. Secondo l'OCSE, tra il 2005 e il 2016, il 40% dei posti di lavoro creati erano in settori ad alta intensità digitale, mentre circa la metà dei posti di lavoro nei paesi OCSE sono a elevato rischio di automazione (o profonda trasformazione). Di conseguenza, in Europa, il 52% dei lavoratori dovrà aggiornare le proprie competenze lavorative (considerando poi che più del 40% di questi manca delle skill digitali considerate basiche), mentre la domanda di lavoro ad alta intensità tecnologica da parte delle aziende crescerà di oltre il 50%, secondo le stime di McKinsey. L'Italia fanalino di coda Nel vortice di questo enorme cambiamento, l'Italia si trova ancora indietro rispetto alle sue controparti in Europa. Nel 2020, si trova al 37esimo posto nella classifica ONU riguardante lo sviluppo dell'egovernment, dietro alla La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 22/04/2021 00:45 Sito Web econopoly.ilsole24ore.com maggior parte dei paesi europei. E sempre nello stesso anno, è al quartultimo posto del Digital Economy and Society Index (DESI), l'indice che misura il livello di sviluppo digitale all'interno dell'UE. Gran parte di questo divario è proprio dovuto alla generale mancanza di una forza lavoro attraverso cui affrontare un contesto competitivo sempre più esigente. Prendendo il fattore Capitale Umano all'interno del DESI, infatti, l'Italia si posiziona all'ultimo posto con un punteggio di 32.4 su 100 a fronte di una media europea di 49.3. Questo a causa sia di un basso numero di specialisti ICT e minori laureati in discipline scientificotecnologiche, ma anche per una minore conoscenza informatica generalizzata dei propri cittadini (dalla comprensione di dati e informazioni, alla sicurezza fino alla capacità di comunicare online). Senza tra l'altro mostrare segnali di sostanziale crescita negli ultimi cinque anni. Le iniziative a supporto del digital reskilling Se la questione delle competenze digitali è cruciale per lo sviluppo digitale del paese, negli ultimi anni sono state prese alcune iniziative per colmare questo gap, sia a livello Europeo che nazionale. L'Unione Europea, alla luce delle stime che indicano al 52% il numero dei lavoratori europei con la necessità di riqualificarsi, ha messo in campo una serie di iniziative, finanziamenti e programmi di cui l'Italia potrà beneficiare nei prossimi anni. Partendo dall'educazione, ad esempio, il Digital Education Action Plan (2021-2027), promosso dalla Commissione Europea, si prefigge lo scopo di potenziare le skill digitali delle generazioni a venire, attraverso una migliore regolamentazione della didattica a distanza, maggiore cooperazione fra scuole grazie alla rete, formazione digitale per i docenti e utilizzo di certificati comunemente riconosciuti, fra le altre cose. Ci sono poi varie iniziative dedicate alla formazione in età adulta e lavorativa. È il caso della Digital Skills and Job Coalition, dove un numero crescente di organizzazioni (pubbliche o private che siano) si impegnano, oltre al loro normale scopo di azione, a fornire lavoratori, dipendenti e cittadini delle skills digitali necessarie a colmare i propri gap digitali. Oppure del Digital Europe Programme, grazie al quale oltre 600 milioni per i prossimi 6 anni saranno dedicati a finanziare programmi di formazione in tecnologie digitali avanzate per disoccupati e PMI. Altre iniziative da menzionare sono la European Digital Skills and Jobs Platform, il Digital Opportunity Traineeship, che ha finanzia programmi di apprendistato nei settori hi-tech fra diversi paesi europei, e la Women in Digital Initiative. Ma anche in Italia si sta già muovendo qualcosa, come anche riconosciuto dal recente rapporto DESI 2020. Repubblica Digitale, sotto il dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio, è la strategia per combattere il divario digitale e l'educazione tecnologica in Italia. Coinvolgendo diversi Ministeri attraverso una strategia nazionale per le competenze digitali, si propone di raddoppiare la popolazione con competenze digitali avanzate, triplicare i laureati ICT e azzerare il relativo divario di genere, fra le altre cose. È da qui che nel Luglio 2020 nasce la Strategia Nazionale per le Competenze Digitali, coordinata da Repubblica Digitale stessa, che prevede un ventaglio di oltre 100 azioni che vanno dal potenziamento dell'istruzione e formazione superiore alla trasformazione della Pubblica Amministrazione, favorendo il reskilling della propria forza lavoro. Altri La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 22/04/2021 00:45 Sito Web econopoly.ilsole24ore.com soggetti coinvolti, infine, comprendono associazioni (come l'AICA), il settore privato (vedi per esempio l'iniziativa Binario F from Facebook) e agenzie pubbliche (AGID). Reddito di Cittadinanza: un'opportunità per il digital reskilling? Se le iniziative volte a colmare il gap di cui abbiamo parlato possono essere utili in un'ottica più generale, ci sono altre considerazioni da fare. Quando si parla di skill digitali, non si può non tenere in considerazione le differenze fra le classi sociali. Come confermato dall'Istat, per esempio, la sola presenza sul web è dell'86% per chi ha un diploma superiore, contro il 36% di chi è in possesso al massimo della licenza elementare. E lo stesso vale per classi di lavoratori diverse. Altre differenze cruciali si riflettono per classi di età, sesso e livello di salario, ma anche la dimensione geografica è importante. La percentuale di persone che utilizzano il computer tutti i giorni è del 34% nel Nord Italia contro il 25% al Sud e Isole e accade lo stesso per l'utilizzo di internet (57% contro 49 e 53%). Ma non solo. Il progresso tecnologico porterà nei decenni una maggiore automazione e polarizzazione del lavoro (come illustrato da economisti come Acemoglu e Autor). E questo rischia di esacerbare ulteriormente disuguaglianze economiche e sociali. Insomma, considerando quanto detto, il pericolo è che la stessa corsa al digital reskilling possa essere un'opportunità solo per chi corre già veloce, mentre le fasce più deboli della popolazione restano indietro, frenando la crescita inclusiva del paese. Le problematiche sopra descritte sono le stesse che, in parte, si è posto uno strumento tanto ambizioso, quanto dibattuto in questi anni: il Reddito di Cittadinanza (RdC).