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Aica: tutti a scuola di digitale
Industriequattropuntozero.it

Non è una novità. La richiesta di skill digitali continua a crescere, anche nelle professioni non informatiche che rappresentano la maggioranza degli occupati e dei candidati all’assunzione, ma a sua volta l’offerta di competenze continua a non soddisfarne la domanda.

Lo conferma l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio delle Competenze Digitali promosso da Aica, di cui abbiamo intervistato il Presidente Giuseppe Mastronardi. La sua risposta per le pmi? Formazione continua a partire dall’imprenditore, chi sul fronte del mindset, chi sul fronte delle competenze specialistiche verticali.

Le competenze digitali non sono diffuse, ma sono pervasive negli effetti: servono per comunicare, per incrementare le vendite, per migliorare la produttività e per gestire i sistemi informativi che, a loro volta, sono a supporto del digitale che coinvolge anche aspetti organizzativi e tecnologici delle imprese. Come aiutare allora le nostre pmi a uscire da questo empasse?

Abbiamo intervistato il presidente di Aica, l’Associazione italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico, Giuseppe Mastronardi, già professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Politecnico di Bari, che, da qualche mese in pensione, negli anni Settanta ha contribuito alla realizzazione del primo satellite per le telecomunicazioni.

<Come aiutare le pmi a sviluppare una cultura e un’abitudine al digitale?

La diffusione della cultura e della pratica digitale è la grande scommessa di oggi, che dobbiamo dare per vinta se vogliamo stare sul mercato. Infatti, i benefici di produttività ed efficienza dell’informatica e della digitalizzazione impattano sulla competitività delle imprese. Invece, in Italia si tende ad arrangiarsi, a fare un po’ per volta, sempre frenati dai costi, ma in realtà oggi ci sono soluzioni flessibili e adatte alle pmi. Direi che è più una questione di cultura.

<Il digitale è un linguaggio, un modo di pensare le cose e le relazioni fra le cose che dovrebbe appartenere un po’ a tutti?

Sì, noi insistiamo sulla diffusione delle basi del digitale in tutta l’organizzazione, ma parlando di linguaggio lei presuppone una cultura che appunto non c’è ancora. Il fraintendimento è che i vecchi imprenditori pensano di poter demandare alle nuove generazioni di tecnici specializzati l’introduzione e la gestione del digitale, in realtà l’approccio è così pervasivo che serve un intervento più esteso per accompagnare il cambiamento nel nuovo modo di lavorare, nel rapporto con la macchina e con i dati restituiti da un software e, in buona sostanza, nel ruolo dell’operatore che diventa un supervisore. Inutile usare paroloni intorno ai concetti di Industria 4.0, big data e automazione se poi non si accompagna fattivamente il cambiamento e non lo si fa accettare di buon grado.

<Quindi da dove bisogna partire?

Bisogna partire dalla testa, dai capi azienda. È chiaro che occorre introdurre più diffusamente il Digital Innovation Officer (DIO), come già sta avvenendo in alcune grandi aziende, ma nelle pmi serve trasmettere subito una maggiore conoscenza ai decisori, perché creino commitment. Quindi, bisognerebbe ripensare la stessa funzione IT non più in outsourcing, come spesso avviene, ma riportarla all’interno o, in attesa di migliorare le competenze interne, affiancare un esperto esterno, una sorta di coach o tutor, che operi un trasferimento di know-how e abilità alle persone interne più coinvolte e abiliti così degli IT administrator. Appropriarsi internamente delle competenze informatiche e organizzative nel contesto della digital trasformation con nuove funzioni o anche solo con il reskilling di risorse già presenti, avvantaggerebbe la stessa gestione aziendale, con benefici sul business nel medio e lungo periodo. Le nuove micro-imprese di servizi, come le start-up innovative, nascono già dotate di competenze digitali interne e sono un esempio di grande vivacità e agilità nel rispondere al mercato.

<Mi sembra che anche il trend delle grandi aziende sia quello di creare delle società spin-off interne che gestiscano l’informatica e il digitale. Tuttavia, nelle pmi con una storia più lunga e la convivenza di più generazioni forse è più difficile la diffusione “indolore” del digitale, anche per un problema di linguaggio, di comunicazione e abitudini diverse.

Sì, il tema del conflitto generazionale esiste e deve essere superato sia con un ingresso gentile da parte dei “giovani”, sia col trasferimento di conoscenze ai “datati” ,affinché le aziende maturino competenze interne. E le confermo il trend delle grandi aziende, che tendono a crearsi internamente gli applicativi e le soluzioni di cui hanno bisogno per motivi di autonomia, personalizzazione e velocità.

<Che cosa esprime il Digital Skill Rate misurato dal vostro Osservatorio?

Esprime il peso delle competenze digitali che nell’edizione di quest’anno, rispetto al 2014, è cresciuto di qualche punto in tutte le aree aziendali di ogni settore di mercato, con un’incidenza media del 13,8%, ma con punte che sfiorano il 63% per le competenze digitali specialistiche nelle aree “core” di Industria e il 41% nei Servizi. Il bisogno di potenziare le competenze è legato all’innovazione di prodotti, di processi e di strategie, in logica digitale. Ma sono incidenze ancora basse, rispetto alla necessità di trasformazione dell’Industria 4.0. E le competenze più critiche per tutti sono proprio nelle aree della definizione strategica, della gestione del cambiamento, dell’innovazione e della sicurezza.

<Quindi si va dalla carenza o comunque dalla criticità di un più generale digital mindset alla necessità di competenze più specialistiche?

Sì, è tutto collegato e a cascata. Sono competenze critiche perché oggi l’ignoranza dell’impatto dell’informatica e del digitale si paga cara. Per anni Aica insieme a Bocconi ha sviluppato un osservatorio sui costi dell’ignoranza. Si parte dalle informazioni, che diventano conoscenze e poi ancora abilità e competenze, che vanno sviluppate per aumentare la produttività, per esempio nel manifatturiero. Il digitale abbraccia l’informatica, ma anche aspetti organizzativi e tecnologici e, quindi, serve anche la visione d’insieme per collocare al meglio tecnologie e competenze emergenti, ancorandole ai bisogni di ogni singola realtà. Per questo anche le competenze specialistiche devono essere verticali, perché siano contestualizzabili al settore e alle sue problematiche e accelerare i tempi di intervento.

<Voi organizzate anche corsi?

Noi costruiamo contenuti didattici e formiamo i formatori, ma non eroghiamo direttamente corsi. Stiamo lavorando con Unioncamere, il Dipartimento della Funzione Pubblica del Consiglio dei Ministri, il San Raffaele e nella prospettiva di nuovi percorsi formativi con Ferrovie dello Stato e Rai Academy. Inoltre, rilasciamo una serie di certificazioni di competenze, come e4job, conseguente a una prima alfabetizzazione digitale delle imprese pubbliche e private, utile proprio dove manca una cultura digitale diffusa. Forniamo anche contenuti per il Digital Marketing e Project Management (EPM), Cad 2D e Cad 3D, Stampa 3D e stiamo per allestire delle suite finalizzate alle certificazioni del Controllo Numerico (CNC), dell’IoT e della Robotica. Da non dimenticare che, da oltre 20 anni, siamo gli unici delegati dal Cepis a gestire sull’intero territorio italiano la certificazione della Patente Europea del Computer, meglio nota come ECDL (European Computer Driving Licence).

<Cosa mi dice della nuova funzione del DPO?

Il DPO (Data Protection Officer) è una figura introdotta dal nuovo GDPR (Regolamento Europeo sulla Privacy) e si riferisce a un consulente preferibile esterno, per evitare conflitto di interesse, che sia responsabile della Protezione Dati nei confronti sia del committente sia del Garante della Privacy, cioè a metà fra imprenditore e adempimenti governativi, che tra l’altro deve assolvere anche all’obbligo di provvedere alla formazione del personale sulla privacy. Per tal motivo deve avere una preparazione tecnica e giuridica e conoscere bene il settore in cui deve operare. Anche per la preparazione di questa figura, Aica propone formazione e certificazioni attraverso i seguenti moduli: IT Administrator, IT Security, Informatica Giuridica, Privacy e Privacy in Sanità.