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Sanità, settore pubblico, istruzione: Big Data crea anche nuovi lavori
Affari & Finanza (La Repubblica)

Il dibattito sugli impatti occupazionali dell'intelligenza artificiale si è spesso impelagato nella divisione sbrigativa tra i profeti della disoccupazione di massa e i veggenti del paradiso economico 4.0. Scenari catastrofici di milioni di persone senza lavoro a causa dell'avanzata inarrestabile dei robot contro scenari meravigliosi di lavoratori con i superpoteri in grado di fare qualsiasi cosa. Ed è stato forse per colpa di questo approccio sommario che l'artificial intelligence (AI) non è riuscita a conquistarsi quella continuità di attenzione che un fenomeno così rilevante meriterebbe. Si intravede tuttavia qualche segnale di un possibile cambio di rotta. A partire da un approccio generale più profondo rispetto al passato.

La tendenza a concentrarsi esclusivamente sul lato oscuro del tema, cioè sulla quantità di posti di lavoro bruciati dalle intelligenze artificiali, sembra infatti aver lasciato campo ad un'inclinazione espansiva. Si nota cioè un'attenzione maggiore ad altri effetti, meno evidenti della perdita di occupazione ma non per questo secondari. L'impatto sui sistemi formativi, l'evoluzione dei modelli d'impresa, lo sviluppo delle catene di valore, gli effetti sulla produttività e ancora i possibili squilibri salariali. E così anche le possibili ricette iniziano a coinvolgere uno spettro ampio che spazia dal lavoro al welfare, dalle politiche industriali alla scuola.

Non sarà un caso che in un biennio siano cambiate anche le previsioni. I 5 milioni di posti in fumo entro il 2020 tra occupazione persa e creata, stimati a gennaio 2016 dal World Economic Forum, stridono sia con i 3 milioni di occupati a rischio sostituzione uomo-robot in 15 anni previsti dal Forum Ambrosetti lo scorso anno. Sia, in modo particolarmente evidente, con la stima sull'impatto dell'AI diffusa a inizio anno da Gaitner: da qui al 2020 andranno persi 1,8 milioni di posti di lavoro, ma se ne creeranno 2,3 milioni. Il risultato finale varia naturalmente da settore a settore. Positivo per sanità, settore pubblico, istruzione. Negativo per la manifattura.

Al di là del singolo comparto, il saldo positivo di 500mila unità rappresenta comunque il primo grande segnale positivo di netta controtendenza. «Molte innovazioni significative hanno comportato una transizione con perdita temporanea di posti di lavoro seguita da una ripresa. L'intelligenza artificiale seguirà probabilmente la stessa strada,- prevede Svetlana Sicular, research vice president di Gartner- La previsione della perdita di occupazione si lega spesso alla confusione dell'intelligenza artificiale con l'automazione, che oscura la prospettiva abilitata dall'AI di una combinazione di intelligenza umana e intelligenza artificiale in grado di completarsi a vicenda».

Ed è proprio in questa confusione che risiede probabilmente la causa del grande caos che ha accompagnato l'avvento dell'AI. Recentemente anche l'Ocse, pur mettendo in guardia contro i rischi occupazionali, ha voluto sgonfiare l'ipotesi di un pianeta disoccupato spostando piuttosto l'attenzione sul possibile gap salariale.

Il tema della disoccupazione tecnologica coinvolge ovviamente anche l'Italia. Non si tratta però di una sfida che ci riguarda solo per il fatto di essere una potenza manifatturiera. Secondo le rilevazioni dell'ultimo Osservatorio delle Competenze Digitali (elaborato da Aica, Anitec-Assinform, Assintel, Assinter Italia con Cfmt, Confcommercio, Confindustria, Miur e Agid), la necessità di competenze digitali è infatti ormai evidente in tutti i settori e in ogni funzione aziendale. Agli investimenti sulle skill specialistiche deve dunque accompagnarsi l'aggiornamento continuo della formazione. E gli italiani? Circa l'effetto di algoritmi e robot sull'occupazione, rileva Swg, sono spaccati a metà (42% tranquillo, 47% preoccupato). Un dibattito pubblico più attento e maturo su questi temi non guasterebbe, anche solo per rendere più consapevoli queste sensazioni contrastanti.